L’intento dell’articolo di oggi è spiegare un fenomeno, anzi due fenomeni connessi fra loro, particolarmente importanti quando si intende comprendere le ragioni per cui è così difficile uscire dal tunnel dell’astinenza da cibo e dalle abbuffate.
Il primo fenomeno, il craving, lo abbiamo già visto in precedenti articoli ma lo rivedremo, per coloro che non ne avessero mai sentito parlare, anche in questo pezzo.
Si tratta, per definizione (Marlatt, 1978) di un’esperienza soggettiva di intenso desiderio nei confronti di un oggetto o un’attività al fine di ottenere degli effetti desiderati. Il craving si può manifestare in molti modi fra i quali vi sono: le intrusioni mentali (Beck, Wright, Newman et al., 1993), gli impulsi ad agire (Cox, Klinger, 2002), gli stati emotivi (Tiffany, Wray, 2009) e le sensazioni fisiche (Paulus, 2007).
Il motivo per il quale il craving è divenuto oggetto di numerose ricerche, risiede nel fatto che esso appare connesso con diverse psicopatologie, in particolar modo quelle che coinvolgono le dipendenze e il controllo degli impulsi.
Ma vediamo ora il secondo fenomeno, il rimuginio desiderante, che appare strettamente connesso al primo.
Il rimuginio desiderante è una strategia cognitiva consapevole e volontaria che coinvolge l’elaborazione di informazioni relative a un oggetto o attività piacevoli in una forma immaginativa o verbale (Caselli, Spada, 2016). Anche se è possibile intravedere in questa forma di pensiero una nota positiva che consiste nella capacità di soddisfare, almeno parzialmente e temporaneamente, un desiderio, il rimuginio può assumere una forma disadattiva soprattutto quando associato a scopi deleteri per l’individuo (per es. mangiare cibo “spazzatura” o abbuffarsi, ecc.).
Con la sua attenzione focalizzata, la sua natura perseverante e il suo impatto negativo sul controllo emotivo, infatti, il rimuginio desiderante non fa che amplificare il desiderio e, con esso, il senso di deprivazione per non poterlo realizzare. Rimuginare su ciò che vorremmo, in altre parole, ci spinge verso gratificazioni immediate anche attraverso l’elaborazione di convinzioni permissive in cui cerchiamo e otteniamo giustificazioni o valide ragioni a sostegno dell’azione che vogliamo compiere.
Un’immagine abbastanza utilizzata per spiegare in modo semplice quanto avviene nel nostro cervello in questa situazione è quella del diavoletto e dell’angioletto che si sfidano per portare prove a favore e contro la presa di decisione in una certa direzione.
Il risultato, nel caso del cedere o non cedere al desiderio di mangiare qualcosa di “proibito” è che la positività dell’oggetto del desiderio porta a trascurare informazioni circa le conseguenze negative a lungo termine e ad abbandonarsi, quindi, alla tentazione.
Ebbene, come anticipato in apertura, pare che craving e rimuginio desiderante si trovino in una relazione di mutua causalità: pensare a ciò che desideriamo attiva il craving mentre il rimuginio desiderante è attivo durante un episodio di craving ed ha un impatto diretto sullo stesso.
Al fine di ottenere risultati stabili nel tempo e quindi ai fini della gestione delle ricadute in episodi di abbuffata e alimentazione compulsiva è essenziale che i due fenomeni vengano affrontati in sede di terapia.
La distorsione dei processi decisionali ad opera, in particolar modo, del rimuginio desiderante, favorisce una costruzione della realtà in favore dell’abbandono alle tentazioni. La stessa, in aggiunta alla spinta motivazionale prodotta dall’esperienza di craving, focalizza l’attenzione attorno a stimoli correlati all’oggetto o all’attività desiderate portando contemporaneamente a ignorare le informazioni a supporto dell’inibizione dei propri impulsi.
Se le ricadute e, più in generale, la gestione del peso nel lungo termine sono ancora uno scoglio da affrontare con successo, la motivazione risiede anche nei fenomeni summenzionati. Proprio per questa ragione, nonché per tanti altri fattori che abbiamo avuto modo di esplorare in precedenti articoli, la gestione del peso andrebbe affrontata da più punti di vista fra cui, quello psicologico, appare ancora una volta imprescindibile.