Il fatto di non vederlo ancora inserito nella comune nosografia psichiatrica (DSM-V e ICD-10) non rende l’ortoressia un quadro sindromico da sottovalutare.
Descritta per la prima volta dal medico statunitense Steven Bratman all’interno del libro “Health Food Junkies” (2000), l’ortoressia nervosa può essere descritta letteralmente come “ossessione per il mangiare cibi sani”.
Una pratica che si è andata diffondendo, seppur con le migliori intenzioni, a seguito dell’interesse accresciuto nei confronti della qualità del cibo da parte delle persone.
Una manifestazione patologica recente che ha trovato il suo terreno fertile nella promozione di filosofie di vita salutiste portate all’eccesso.
E come accade per qualsiasi comportamento umano, quando una pratica, una scelta di vita, diventa ossessione, fissazione, i suoi aspetti positivi hanno la peggio e il confine con la patologia diventa sottile.
Nel caso specifico dell’ortoressia, il cibo diventa strumento attraverso il quale esercitare controllo, alleviare la tensione ma anche dimostrare un senso di superiorità nei confronti dei soggetti “impuri”, non-sani, che si cibano di qualsiasi cosa.
La rigidità, in tal senso, è proprio l’aspetto su cui occorre porre particolare attenzione al fine di segnare quella linea di demarcazione immaginaria fra sano e patologico.
Ecco come, una pratica alimentare che nasce con le migliori intenzioni, possa diventare deleteria per l’individuo stesso che la mette in atto.
Il cibo perde completamente la sua funzione di dare piacere (evidenza che si coglie nella tendenza della persona ortoressica a mangiare qualunque alimento sia sano, indipendentemente dal gusto) e diviene mezzo per comunicare un disagio altrimenti inesprimibile. Un disagio celato perfettamente da un comportamento in apparenza assolutamente virtuoso e, ad ogni modo, culturalmente validato.
Anche il tempo stesso a cui il pensiero sul cibo viene diretto si dilata enormemente e ingiustificatamente: la persona arriva a trascorrere più di 3 ore al giorno a pensare e a pianificare dettagliatamente i pasti.
Di conseguenza, la sua qualità di vita ne risente: altre attività e interessi vengono fagocitati per poter lasciare spazio alle pratiche alimentari.
Il controllo aumenta a dismisura, assieme alla stima personale che permette di sentirsi “migliori degli altri”, ossia di coloro che non praticano un’attenta selezione degli alimenti.
Il cibo che piace viene sostituito da quello più “giusto” e rende difficile mangiare fuori casa al punto che le occasioni sociali si fanno sempre di meno per non dover pagare il prezzo della colpa e del disprezzo personale che scaturirebbero dalla rottura delle regole alimentari.
Ma quelle a cui va incontro l’ortoressico non sono soltanto conseguenze psicologiche: stress, ansia, fobie, depressione. Il suo progetto di immortalità si scontra infatti con malattie anche piuttosto invalidanti: avitaminosi (carenza di vitamine e sali minerali), arterosclerosi, osteoporosi.
Un’insieme di comportamenti e conseguenze che hanno spinto il mondo scientifico a riconoscere tale quadro fra i disturbi definiti come “Nuovi Disturbi del Comportamento Alimentare”.
Pur trattandosi di una fenomenologie recente, infatti, Moroze et al. (2015) hanno proposto dei possibili criteri diagnostici:
CRITERIO A. Preoccupazione ossessiva riguardo al “cibo salutare”, incentrata su aspetti qualitativi e sulla composizione dei pasti (due o più delle seguenti caratteristiche):
- consumo di una dieta non equilibrata dal punto di vista nutrizionale a causa di convinzioni e preoccupazioni riguardanti la “purezza” del cibo;
- preoccupazioni e paure di mangiare alimenti considerati impuri o non salutari; preoccupazioni riguardanti gli effetti della qualità e della composizione del cibo sulla salute fisica ed emotiva;
- evitare in maniera molto rigida alimenti ritenuti non salutari, tra cui per esempio alimenti considerati grassi, conservanti, additivi, prodotti animali o altri ingredienti non considerati salutari;
- per individui che non lavorano in campo alimentare, dedicare lassi eccessivi di tempo (più di tre ore al giorno) alla lettura e allo studio degli alimenti e all’acquisto e alla preparazione del cibo in base alla qualità e alle composizioni percepite;
- sentimenti di colpa e preoccupazioni dopo episodi di “trasgressione” in cui sono stati consumati alimenti “non salutari” o “impuri”;
- intolleranza/insofferenza nei confronti delle convinzioni/credenza alimentari altrui;
- spesa di somme eccessive, rispetto al proprio salario per comprare specifici alimenti, a causa di qualità e composizione percepite.
CRITERIO B. La preoccupazione ossessiva diventa nociva in almeno uno dei seguenti modi:
- nociva per la salute fisica a causa di carenze nutrizionali (per es. malnutrizione causata da dieta squilibrata);
- angoscia e impossibilità di partecipare ad attività sociali, accademiche o vocazionali a causa dei pensieri ossessivi e dei comportamenti incentrati sulle convinzioni del paziente riguardo a una dieta salutare.
CRITERIO C. Non è solamente l’esacerbazione dei sintomi di un latro disturbo come quello ossessivo-compulsivo, la schizofrenia o un altro disagio psicotico.
CRITERIO D. Il comportamento non è meglio spiegato dal fatto che il paziente osservi prescrizioni/restrizioni alimentari di gruppi religiosi ortodossi né dalla presenza di allergie o condizioni mediche, adeguatamente diagnosticate, che richiedano una dieta speciale.
Anche se, quindi, l’ortoressia non è, almeno per il momento, inserita nei principali manuali diagnostici, è fondamentale tenerne conto quale fattore di rischio che può portare la persona a sviluppare un vero e proprio disturbo alimentare.