Le emozioni, diversamente dagli stati d’animo, sono fenomeni della vita relativamente brevi. Un evento del nostro ambiente esterno o interno le scatena e di lì a poco si innescano modificazioni a livello cerebrale, cambiamenti somatici, impulsi ad agire ed altro ancora. Si tratta di un sistema di risposta multisfaccettato che talvolta percepiamo come travolgente, incontrollabile e che può provocarci un certo malessere. Il riferimento non è solamente alle emozioni negative, giudicate per lo più inutili e destabilizzanti dal senso comune, ma anche alle emozioni positive che possono renderci goffi, imbarazzati e giocarci brutti scherzi (pensiamo ad esempio all’ipotetica situazione in cui vorremmo presentarci a una persona che ci piace ma l’emozione è così intensa da farci scordare le parole o renderci maldestri nei movimenti). Eppure chi si occupa di emozioni da un punto di vista scientifico (psicologico, evolutivo, antropologico e via dicendo), non ha alcun dubbio sull’importanza e sulla positività delle stesse. Anche se ripensando a certi episodi di ira funesta o di tristezza paralizzante, stentiamo a credere che dietro vi possano essere ragioni positive per quanto proviamo, vi posso assicurare che nessuno studioso delle emozioni sosterrebbe mai il contrario. I terapeuti, nello specifico, sostengono che il comportamento emotivo assolve almeno 3 funzioni:
- comunicare e influenzare il comportamento degli altri;
- organizzare e motivare l’azione individuale;
- validare la propria percezione e interpretazione degli eventi.
Ma che cos’è, allora, che rende così difficile accettare un’emozione?
Più di 2500 anni fa, Buddha ammetteva che non è possibile evitare tutti i dolori della vita. L’emozione, a volte, ci colpisce come ci ferirebbe una freccia. Tuttavia, sosteneva sempre Buddha, certi uomini tendono a causarsi sofferenze inutili colpendosi con una seconda freccia. Che cosa intendeva dire? Il riferimento di Buddha era alla tendenza che tutti noi abbiamo di giudicare le nostre emozioni etichettando ciò che proviamo come “giusto” o “sbagliato”. Ebbene la ricerca ha scoperto che giudicare l’emozione che si prova come non valida o sbagliata contribuisce ad amplificarla (Gross, 2006). Bloccare un’emozione innalza i livelli di attivazione fisiologica e ciò può dar luogo ad impulsi ancora più intensi per non avvertirla ricorrendo magari a comportamenti disfunzionali (mangiare in eccesso, bere alcol, ecc.). Per essere capaci di reagire ai propri sentimenti è importante saper distinguere tra “emozione primaria” (quella che si avverte in origine) ed “emozione secondaria” (emozione percepita come conseguenza della risposta a quella primaria). Rispondere al proprio dolore con modalità negative, critiche e non funzionali non fa altro che colpirci con una seconda freccia. Scegliere di agire o non agire ciò che si prova rappresenta la chiave di svolta. Per rispondere a un’emozione primaria dolorosa che ci destabilizza possiamo sempre scegliere la strada della comprensione, dell’interesse e della partecipazione benevola.
Facciamo un esempio:
Ipotizziamo di dover affrontare un colloquio di lavoro e di essere particolarmente spaventati (emozione primaria). Siamo seduti in attesa che ci ricevano e iniziamo a sudare, a tremare, sentiamo i muscoli tesi. Ci rendiamo conto di quanto ci sta accadendo e pensando che a breve toccherà a noi, ci diciamo che dovremmo smetterla di agitarci, che siamo degli stupidi, dei codardi. Questi pensieri, e il dialogo interno che ne deriva, fungono da evento scatenante per l’emozione secondaria di vergogna che non fa altro che sommarsi ai vissuti precedenti amplificando le nostre reazioni fisiologiche.
Capite bene, anche in considerazione dell’esempio fatto, che giudicare un’emozione primaria non fa altro che bloccarla o interromperla evitando che questa si risolva semplicemente.
Le emozioni, tutte, ci avvertono di qualcosa che sta accadendo nell’ambiente circostante e dentro di noi. In tal senso sono assolutamente adattive a patto che ci rendiamo disponibili ad ascoltarle sospendendo il giudizio. Questo, nella nostra ottica di interesse nei confronti di ciò che ci porta a mangiare in eccesso, ha una valenza importante. Quante volte vi è capitato di mangiare per soffocare un’emozione troppo intensa? Siete proprio sicuri che l’emozione percepita fosse così intensa fin dal primo momento in cui è apparsa? Quante volte giudicate l’emozione che provate come ingiusta o insopportabile rendendola di fatto ancora più intensa e invalidante?
Nel prossimo articolo vi proporrò un esercizio per riflettere sulla validità e sulla positività delle emozioni negative. Lo scopo sarà quello di favorire una maggiore accettazione dell’esperienza emotiva affinché, quando essa fa capolino nella vostra quotidianità, possiate dire “prego, benvenuta..” anziché “vattene, non ti sopporto..”.