Di gene frugale e del perché è così difficile dimagrire

Chi più, chi meno, conosciamo tutti alcuni motivi per i quali la perdita di peso e, ancor di più il suo mantenimento nel tempo, sono molto difficili da realizzare.

Non si tratta solamente di applicare strategie inefficaci per il cambiamento dello stile di vita ma di questioni ben più arcaiche che vanno ricercate nei nostri geni e nella storia del genere umano.

Che ci piaccia o no, per il sistema vivente mettere su peso è un segno di salute che rivela l’efficienza nella conservazione e nell’utilizzo delle scorte nutritive.

Una riduzione del cibo, che sia a causa di una dieta o, come accadeva per i nostri antenati, a causa di una carestia, induce nel corpo una riduzione dei consumi e un abbassamento del metabolismo finalizzato a preservare la cosiddette “scorte”.

Persino quando la quantità di cibo viene ripristinata, non si ha un riavvio immediato del metabolismo: motivo per il quale, una volte riprese le vecchie abitudini alimentari dopo una dieta, il peso perso viene riacquistato e addirittura superato.

Da questo punto di vista ogni cambiamento dello stile di vita, sotto forma di aumentata attività fisica o diminuzione dell’apporto calorico, dovrebbe essere mantenuto indefinitamente se si vuole conservare la perdita di peso raggiunta.

Peccato che i dati ci dicano che ciò sia davvero difficile: i 2/3 delle persone che perdono peso lo riacquistano entro 1 anno e, dopo 5 anni, quasi tutti i pazienti a dieta tornano al peso precedente (Rosenbaum M. et al., 1997).

Questo fenomeno si verifica sia nei soggetti magri che nei soggetti con obesità e la motivazione è da ricercarsi nei fattori fisiologici che difendono il peso abituale, anche quando quest’ultimo è elevato.

Un’altra motivazione, a spiegazione del fatto che la spesa energetica subisce un vistoso declino, risiede nei cambiamenti dell’efficienza con la quale il muscolo scheletrico converte l’energia chimica in lavoro meccanico. L’organismo cerca in ogni modo di conservare il tessuto adiposo attivando tutti i suoi sistemi omeostatici e lo fa grazie alla comunicazione continua fra i centri corticali e gli adipociti (cellule del tessuto adiposo).

Arriviamo così a citare nuovamente il concetto di set-point lipostatico (Rosenbaum M, 1997).

Ma perché tutti questi fattori sembrano remarci contro?

Le riserve energetiche, che per gli esseri umani di oggi rappresentano soltanto “chili di cui sbarazzarsi”, erano per i nostri antenati scorte fondamentali per la sopravvivenza individuale e per garantire la capacità riproduttiva. Per questa ragione gli esseri viventi sono forniti di un corredo genetico che favorisce l’introduzione energetica e l’accumulo, riducendo al minimo la spesa.

Per gli scienziati sono sempre più consistenti le evidenze dell’esistenza di un “gene frugale”, così chiamato per le sue capacità di determinare un metabolismo frugale: i soggetti che lo esprimono sarebbero capaci di adattarsi a condizioni di scarsità di cibo e di trasferire i propri geni alla progenie (Damcott CM, 2003).

A sostegno di queste osservazioni ci sono le conoscenze relative allo stile di vita dell’Homo sapiens il quale fu strettamente dipendente dalla capacità di procurarsi il cibo la quale, a sua volta, era direttamente correlata alla possibilità di fare attività fisica ovvero di muoversi alla ricerca del nutrimento.

Parliamo, in sostanza, degli antichi cacciatori-raccoglitori: uomini che usufruivano dei momenti di abbondanza di cibo (accuratamente procacciato grazie agli spostamenti) per sopravvivere nei successivi momenti di restrizione e scarsità (in cui predominavano riposo e inattività fisica).

Un ciclo continuo di abbondanza-movimento alternato a carestia- riposo.

Ecco come i sopracitati geni frugali si sarebbero evoluti allo scopo di regolare l’utilizzo del materiale energetico in rapporto alle riserve; un antico genoma rimasto essenzialmente immodificato negli ultimi 10.000 anni che deve oggi scontrarsi con un’abbondanza di cibo mai vista prima e una scarsità di movimento altrettanto importante che annulla la ciclicità biochimica geneticamente programmata.

La società industrializzata di oggi, capace di fornirci abbondante cibo con un minimo sforzo muscolare, fa sì che i nostri geni risultino inadatti, quegli stessi geni che hanno rappresentato la sopravvivenza dei nostri lontani cugini.

Il genoma frugale facilita quella che nella nostra epoca è una vera e propria epidemia di malattie croniche dismetaboliche, obesità e diabete di tipo 2.

Non a caso, lo stesso, risulta particolarmente efficiente nel regolare le due principali fonti di riserva energetica: il glicogeno e i trigliceridi.

E’ proprio questo gene, in definitiva, che allo scopo di assicurare la sopravvivenza, rende così difficile e così fallimentare l’approccio dietologico semplicemente basato sulla restrizione che porta poi, come risulta ormai da molti studi, a un recupero e spesso a un aumento del peso perduto (Prentice AM et al., 1992).

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