Quando parliamo di comportamento alimentare stabilire i confini tra normalità e patologia non è sempre così semplice, così come non lo è per la maggior parte dei comportamenti messi in atto dall’essere umano.
A venirci in aiuto, da questo punto di vista, è sicuramente il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, giunto ormai alla sua quinta edizione (DSM-5), il quale contiene un capitolo appositamente dedicato ai “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” (comunemente indicati con la sigla DCA).
L’introduzione riportata in questa sezione descrive nei seguenti termini i disturbi compresi in questa macro-categoria diagnostica:
“I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
Seguono a questa parte, le descrizioni dei criteri diagnostici di ciascuno dei disturbi alimentari che, per vostra conoscenza, sono: pica, disturbo da ruminazione, anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da binge-eating, disturbo della nutrizione con altra specificazione e disturbo dell’alimentazione senza specificazione (in cui mancano informazioni per porre una diagnosi più specifica).
Come potete dedurre, accanto alla descrizione minuziosa e specifica dei disturbi alimentari, è previsto uno “spazio”, che in questo caso viene descritto con la terminologia “disturbo della nutrizione con altra specificazione”, in cui rientrano tutti quei comportamenti alimentari che, pur essendo disfunzionali, non soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
Qualora il clinico scelga di ricorrere alla categoria diagnostica “…con altra specificazione”, sarà quindi tenuto a motivare la sua decisione mediante una ragione specifica.
Ma vediamo meglio alcuni esempi che rientrano in questa casistica:
- Anoressia nervosa atipica: sono soddisfatti tutti i criteri per l’anoressia nervosa, salvo che, nonostante una significativa perdita di peso, il peso dell’individuo è all’interno o sopra il range di normalità;
- Bulimia nervosa (a bassa frequenza e/o di durata limitata): sono soddisfatti tutti i criteri per la bulimia nervosa, salvo che le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano, mediamente, meno di una volta alla settimana e/o per meno di 3 mesi;
- Disturbo da binge-eating (a bassa frequenza e/o di durata limitata): sono soddisfatti tutti i criteri per il disturbo da binge-eating, salvo che le abbuffate si verificano, mediamente, meno di una volta alla settimana e/o per meno di 3 mesi;
- Sindrome da alimentazione notturna: ricorrenti episodi di alimentazione notturna, che si manifestano mangiando dopo il risveglio dal sonno oppure con l’eccessivo consumo di cibo dopo il pasto serale.
La difficoltà del clinico di riconoscere ciò che si scosta da un sano e corretto comportamento alimentare, non risiede tuttavia nella sola scelta fra le categorie diagnostiche. Se queste ultime possono essere definite come disturbi complessi costituiti dalla presenza di più sintomi contemporaneamente, è anche vero che esistono condizioni meno strutturate ed invalidanti che meritano comunque di essere esplorate e risolte al fine di evitare che si tramutino in qualcosa di più serio o che, semplicemente, contribuiscano a minare la qualità di vita della persona.
Vediamo, anche in questo caso, alcuni esempi dimostrativi:
- emotional eating (o fame nervosa): con questa terminologia si indica il ricorso al cibo per placare emozioni che il soggetto non è in grado di fronteggiare diversamente. Le emozioni scatenanti possono essere sia negative che positive (es. noia, vissuta come assenza di stimoli, euforia, tristezza, rabbia, gioia, ecc.);
- iperfagia prandiale (gorging): si definisce come l’ingestione rapida di una
grande quantità di cibo ai pasti. Il consumo in eccesso di cibo può rappresentare una mancanza di consapevolezza enterocettiva e/o l’incapacità di discernere stimoli interni come la fame, appetito, sazietà, o pienezza. In alternativa, l’eccesso di cibo può rappresentare una decisione consapevole di mangiare in eccesso o mangiare di più sotto la spinta emotiva. In entrambi i casi può essere utile suggerire al paziente l’adozione di tecniche ispirate alla Mindful Eating; - piluccamento frequente (grignotage, nibbling, grazing): si tratta di un pattern di comportamento caratterizzato dal mangiare piccole quantità di cibo in maniera continuata, più volte durante il giorno, in un arco di tempo quasi sempre definito. Anche in questo caso sono di grande aiuto i programmi di coaching alimentare improntati all’aumento della consapevolezza (Mindful Eating);
- infra-pasto frequenti (snacking): presenza di più spuntini salati o dolci nell’arco della giornata;
- bramosie selettive (selective food craving, sweet eating): riguardano specifici alimenti quali cioccolato, pizza, carboidrati semplici o altro. Spesso è associata al “craving” ovvero a un intenso desiderio di consumare un cibo o un particolare tipo di cibo a cui è difficile resistere.
- abbuffata compulsiva (binge eating)*: è l’assunzione incontrollata di cibo, conseguente ad un bisogno sorto all’improvviso ed irrinunciabile, con impossibilità di fermarsi. Si manifesta solitamente con l’introduzione contemporanea di cibi dolci e salati, fino ad una sensazione di estrema pienezza gastrica. *N.B. questo specifico comportamento deve essere distinto dal disturbo da binge-eating che è un quadro sindromico più specifico e complesso.
Infine, a rendere ancora più importante la valutazione sensibile del clinico, ricordiamo la possibile presenza di abitudini che possono, a un primo sguardo, passare inosservate ma che, soprattutto sul lungo periodo, contribuiscono a mantenere alterato il comportamento alimentare nel suo insieme: il mangiare troppo voracemente, la monotonia alimentare, il condizionamento da parte di stimoli fisici e sociali, ecc.