Quanti di voi sono convinti che per risolvere i problemi di peso e di alimentazione in eccesso sia necessario lavorare sul COSA e sul QUANTO mangiare?
Non so se quello che sto per dirvi vi stupirà ma…non è sempre così!
Spesso, molto più spesso di quanto si possa pensare, i comportamenti alimentari “disordinati” (mangiare troppo o troppo poco, alternare periodi di sana alimentazione ad abbuffate compulsive, ecc.) non sono che la punta dell’iceberg, il sintomo di un problema più profondo che andrebbe scoperto o che, nella consapevolezza della sua esistenza, andrebbe affrontato una volta per tutte.
Che significa?
Significa che la persona che vive una situazione difficoltosa, continua a preoccuparsi della propria alimentazione disordinata (nascondendo di fatto la polvere sotto il tappeto) anziché andare alla radice del problema risolvendo, di fatto, sia il nucleo della suo sofferenza che la manifestazione di tale disagio (l’alimentazione caotica, appunto).
La conseguenza è che la situazione di malessere suscitata dall’incapacità di avere un controllo sul proprio comportamento alimentare, si trascina per molto tempo, peggiorando sempre di più e gettando la persona in un buco nero dal quale sembra difficile poter uscire.
Accade così che, in un circolo vizioso, la persona mangia troppo, si pente di aver mangiato troppo e il senso di colpa che ne scaturisce alimenta a sua volta la sofferenza responsabile di innescare una nuova abbuffata.
Talvolta, i periodi di apparente tranquillità interposti tra un abbuffata e l’altra, convincono il soggetto di poter riconquistare il controllo sul proprio comportamento. Il livello di “allarme” si abbassa e ricorrere all’aiuto di un professionista appare meno necessario o, comunque, posticipabile.
Purtroppo però, noi psicologi sappiamo che questi periodi di pausa dal problema non sono destinati a durare.
Ecco perché oggi vorrei farvi riflettere su un argomento importante:
capire quando è utile ricorrere a un percorso di psico educazione alimentare!
Sì, perché la convinzione diffusa fra la maggior parte delle persone è che le uniche persone bisognose di supporto psicologico in ambito alimentare siano coloro che soffrono di disturbi alimentari ma, in realtà, non è proprio così.
Non è necessaria la presenza di una diagnosi per giustificare l’inizio di un percorso con lo psicologo.
Ammesso e non concesso che siate certi di non avere alcuna patologia (vi invito a non farvi la diagnosi da soli documentandovi su google), è molto importante che sappiate quanto la prevenzione sia fondamentale per evitare e per recuperare situazioni al limite tra il sano e il non sano.
Agire PRIMA quindi, non è un fattore da sottovalutare: perché quello che un giorno è un fastidio, domani potrebbe essere un grosso stress e dopodomani un disagio condizionante che si ripercuote sulle nostre scelte quotidiane.
Se, dunque, ti riconosci in questa posizione per così dire “borderline”, ti invito a prendere quantomeno in considerazione la possibilità che, con l’aiuto del giusto professionista, la tua qualità di vita potrebbe decisamente migliorare.
Per essere più chiara nel fornirti qualche indicatore-segnale che possa farti aprire gli occhi rispetto ad alcuni comportamenti problematici, ti riporto di seguito un piccolo elenco:
- alterni periodi di alimentazione “controllata” a momenti di alimentazione caotica;
- durante la maggior parte dei pasti “mangi bene” ma ti capitano periodi o episodi in cui non hai alcun controllo su ciò che mangi;
- quando sei nervoso, stanco, giù di morale, annoiato o, al contrario, euforico e gioioso, ricorrere al cibo ti fa sentire meglio e hai la sensazione che il tuo cervello sia scollegato da pensieri e preoccupazioni;
- quando ti accorgi di non piacerti (per esempio quando ti guardi allo specchio o quando ti confronti con altre persone), cerchi di modificare la tua alimentazione con lo scopo di cambiare la tua immagine;
- in pubblico mangi diversamente (in termini di quantità e qualità degli alimenti) da come mangi a casa;
- se ripensi alla tua storia personale è maggiore il tempo che hai scorso a “stare a dieta” che quello dedicato a un’alimentazione intuitiva e spontaneamente basata sul senso di sazietà;
- riconosci nel rapporto col cibo il tuo “tallone d’Achille”;
- senti che la tua vita andrebbe meglio se non fosse per quei chili di troppo.
Questi sono solamente degli esempi. Ci tengo a precisare che non si tratta di un elenco esaustivo e che anche un eccessivo controllo (in senso apparentemente positivo) della propria alimentazione, in realtà, non è indice di benessere. L’eccessivo tempo dedicato alla scelta e alla preparazione dei pasti, l’ossessivo controllo degli ingredienti e delle calorie, una programmazione delle giornate in cui il pensiero e le azioni collegate all’alimentazione hanno l’assoluta priorità rispetto al resto, sono tutte situazioni che meriterebbero attenzione.
Se, in conclusione, ti rispecchi in uno o più degli esempi sopra citati o se, più semplicemente, hai la sensazione che qualcosa non vada ma non riesci bene a definire “che cosa”, anche un singolo colloquio potrebbe chiarire la situazione.