Quel vuoto che si riempie di cibo: trascuratezza, fame e binge eating

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“A volte non è fame di cibo. È fame di abbracci, di parole, di presenza.”

Quando si parla di binge eating, spesso si pensa a una questione di autocontrollo o di “cattive abitudini alimentari”. Ma per molte persone, le abbuffate compulsive non sono altro che la risposta silenziosa a un bisogno molto più profondo: quello di essere visti, ascoltati, accuditi.

Negli ultimi anni, la letteratura scientifica ha iniziato a esplorare in modo più sistematico il legame tra trascuratezza emotiva infantile e binge eating disorder (BED). Non si tratta semplicemente di stress o di fragilità individuale. È un vuoto antico, che nasce nell’infanzia e che si cerca di riempire con il cibo—perché altro non si è imparato.

Questo articolo nasce dal desiderio di approfondire questo legame, restituendo dignità e complessità a comportamenti spesso stigmatizzati e fraintesi.


Che cos’è il Binge Eating?

Il Binge Eating Disorder (BED), o Disturbo da Alimentazione Incontrollata, è un disturbo del comportamento alimentare riconosciuto dal DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). Si caratterizza per episodi ricorrenti di abbuffate durante i quali la persona consuma una quantità di cibo significativamente maggiore rispetto alla norma, accompagnata da una sensazione di perdita di controllo.

A differenza della bulimia nervosa, il binge eating non è seguito da condotte compensatorie come vomito autoindotto o esercizio fisico eccessivo. Chi ne soffre spesso sperimenta forti sensi di colpa, vergogna e isolamento sociale.

È importante sottolineare che il BED non è una semplice “mangiatina di troppo”, ma un disturbo psicologico con una forte componente emotiva e, come vedremo, anche traumatica.


Il ruolo della trascuratezza infantile

La trascuratezza emotiva è una forma di maltrattamento psicologico meno visibile rispetto all’abuso fisico o verbale, ma non meno impattante. Riguarda la mancanza di risposte empatiche e di cure affettive da parte delle figure genitoriali o di riferimento. Bambini trascurati non necessariamente hanno vissuto violenza, ma spesso sono stati ignorati nei loro bisogni emotivi fondamentali.

Negli studi sugli ACEs (Adverse Childhood Experiences), la trascuratezza emotiva emerge come uno dei fattori più predittivi nello sviluppo di problematiche psicologiche in età adulta, incluso il binge eating.

Un bambino che cresce senza un adeguato rispecchiamento emotivo, senza carezze, senza parole che lo aiutino a comprendere le sue emozioni, può sviluppare un senso cronico di vuoto. E quel vuoto, nel tempo, diventa una fame che non è biologica, ma affettiva.


Cibo come regolatore emotivo

Il cibo può diventare una strategia di regolazione emotiva quando mancano alternative più sane apprese in infanzia. Mangiare placa momentaneamente il senso di vuoto, calma l’ansia, anestetizza la solitudine.

Il corpo inizia a parlare attraverso il sintomo: abbuffarsi diventa un modo per dire “sto male” quando non si hanno parole o interlocutori. È qui che entra in gioco il concetto di copione somatico: quando le emozioni non possono essere espresse, il corpo le racconta.

Nel binge eating, il bisogno non è solo quello di cibo: è bisogno di sicurezza, di attenzione, di contenimento emotivo. È fame di madre, fame di casa, fame di voce. La fame affettiva viene così tradotta in fame fisiologica.


Cosa dice la letteratura scientifica

Negli ultimi anni, diversi studi hanno messo in evidenza il nesso specifico tra trascuratezza emotiva e binge eating, più che con altri disturbi alimentari. Eccone alcuni di rilievo:

  • Kong & Bernstein (2009) hanno evidenziato che tra le varie forme di maltrattamento infantile, la trascuratezza emotiva è quella più fortemente associata a sintomi di alimentazione incontrollata in età adulta.
  • Racine & Wildes (2015) hanno sottolineato come le donne con BED riportino tassi significativamente più alti di esperienze di trascuratezza rispetto a quelle con anoressia o bulimia.
  • Groleau et al. (2012) hanno suggerito che il binge eating funzioni come “tentativo maladattivo di auto-consolazione”, specialmente in soggetti con una storia di attaccamento disorganizzato.

Questi studi ci aiutano a comprendere che il BED non nasce nel vuoto, ma è spesso radicato in un vissuto relazionale compromesso.


Una fame invisibile

Il binge eating non è solo un problema alimentare. È un modo di prendersi cura di sé, anche se in modo doloroso e disfunzionale, quando non si sono mai ricevute cure emotive adeguate.

È un tentativo disperato di calmare la solitudine, di riempire il vuoto, di sopravvivere. Spesso, chi soffre di BED si muove in un circolo vizioso:

trascuratezza → solitudine → abbuffata → vergogna → isolamento → nuova abbuffata

Un ciclo che si autoalimenta, ma che può essere compreso e interrotto solo se si riconosce il trauma alla base. Ed è proprio qui che il cambiamento può iniziare: non con il controllo del cibo, ma con la cura delle ferite affettive.


Ricorda…

Il binge eating non è mancanza di forza di volontà. È un sintomo, un linguaggio, una richiesta. È il modo in cui il corpo racconta un bisogno antico: essere accuditi, riconosciuti, amati.

Per chi ne soffre, non serve solo una dieta o una routine alimentare. Serve uno spazio sicuro in cui poter esplorare e dare senso a quel vuoto. Serve comprensione. Serve cura.

Il cibo riempie, ma non nutre ciò che è rimasto affamato per troppo tempo. Per guarire, bisogna tornare a quella fame antica e darle finalmente una risposta che non sia solo un piatto pieno, ma uno sguardo che dice: “ti vedo”.

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