
La vergogna è un’emozione potente. Invisibile agli occhi, ma capace di scolpire profondamente il modo in cui ci percepiamo, ci relazioniamo e abitiamo il nostro corpo.
Nel lavoro clinico con persone che vivono un rapporto doloroso con il cibo o con la propria immagine corporea, la vergogna è quasi sempre presente. A volte in modo evidente, altre volte mascherata da rabbia, silenzio, evitamento o perfezionismo.
Ma c’è. E parlarne è un passo fondamentale verso una comprensione più compassionevole di sé.
In questo articolo voglio distinguere due forme di vergogna:
- la vergogna che nasce da esperienze traumatiche relazionali, spesso precoce e profonda,
- e la vergogna legata allo stigma verso l’obesità, che ha radici sociali e culturali.
Ma prima, partiamo dalle basi.
Cos’è la vergogna e a cosa serve?
La vergogna è un’emozione sociale che ha una funzione evolutiva: regola i nostri comportamenti all’interno del gruppo, aiutandoci a mantenerci in relazione con gli altri. In questo senso, possiamo parlare di vergogna adattiva: è quella che ci fa riflettere su una parola detta in modo inappropriato, su un comportamento che ha ferito qualcun altro. Ci mette in contatto con il nostro impatto sul mondo.
Tuttavia, quando diventa cronica, invasiva, generalizzata – quando non riguarda un comportamento ma il nostro valore come persone – la vergogna diventa disfunzionale. E inizia a fare male.
Vergogna e trauma: “qualcosa in me è sbagliato”
Secondo autori come Judith Herman e Bessel van der Kolk, la vergogna è una componente centrale dei traumi relazionali. Quando una persona viene trascurata, umiliata, abusata o cresciuta in un contesto dove non c’è sicurezza emotiva, il messaggio che interiorizza non è solo: “è successo qualcosa di brutto”, ma spesso: “è successo perché io sono sbagliato/a”.
Questa vergogna è nucleare, profonda, radicata nell’identità. Non riguarda ciò che faccio, ma chi credo di essere.
Come scrive van der Kolk:
“La vergogna è ciò che impedisce alle persone traumatizzate di cercare aiuto. È la sensazione di non meritare di stare meglio.”
E come sottolinea anche Brené Brown, la vergogna si nutre di silenzio e segretezza. È un’emozione che isola e paralizza, spesso invisibile agli altri ma devastante per chi la vive.
Vergogna da stigma: il peso dello sguardo sociale
Esiste poi una forma di vergogna che non nasce direttamente da un trauma relazionale ma da un contesto culturale e sociale stigmatizzante. È la vergogna indotta dallo stigma verso il peso e l’obesità, un fenomeno diffusissimo che colpisce chiunque non rientri nei canoni estetici e normativi della “forma fisica ideale”.
Lo stigma del peso non riguarda solo il giudizio estetico, ma implica attribuzioni morali: chi è in sovrappeso viene spesso percepito come pigro, indisciplinato, irresponsabile. Questo messaggio arriva da ogni parte: media, scuola, ambiente medico, famiglia, relazioni.
Ecco come agisce questa vergogna:
- si radica nel corpo: ogni gesto quotidiano (sedersi in pubblico, vestirsi, mangiare) può diventare fonte di ansia e autocensura;
- mina l’autostima: chi subisce stigma può iniziare a credere di meritare meno – meno amore, meno spazio, meno rispetto;
- blocca la richiesta di aiuto: chi vive in un corpo stigmatizzato spesso si sente giudicato persino nel contesto terapeutico o medico, e tende a evitare quei contesti.
Questa vergogna non nasce da “dentro”, ma viene costantemente alimentata da fuori. Eppure, può diventare altrettanto radicata e dolorosa.
Vergogna e terapia: dare voce a ciò che è nascosto
La vergogna è un’emozione che tende a nascondersi, anche in terapia. Non viene quasi mai portata esplicitamente come obiettivo di lavoro, proprio perché è difficile da nominare: ammettere di provare vergogna è, paradossalmente, un’esperienza che può attivare ulteriore vergogna.
Eppure, è fondamentale affrontarla. In un contesto sicuro, empatico e non giudicante, è possibile:
- riconoscere la vergogna e distinguerla dalla colpa, dal disagio o dalla paura;
- ricostruire la narrativa del trauma, separando ciò che è accaduto da ciò che si è interiorizzato come identità;
- disattivare lo stigma, mettendo in discussione i messaggi culturali e restituendo dignità al proprio corpo e alla propria storia.
La vergogna ha bisogno di luoghi sicuri dove essere guardata senza paura. Solo così può trasformarsi da silenzio che isola a voce che connette.
Per concludere
Che sia nata da ferite relazionali o dallo sguardo collettivo, la vergogna è una forza silenziosa che può condizionare profondamente la vita di una persona. Portarla alla luce, comprenderla e trasformarla è uno dei processi più potenti e liberatori che si possano intraprendere – in terapia e nella vita.
Se ti sei riconosciuta/o in queste parole, sappi che non sei sola/o. Parlare di vergogna è difficile, ma è anche l’inizio del suo superamento.
Riferimenti e ispirazioni:
- Judith Herman – Trauma e guarigione
- Bessel van der Kolk – Il corpo accusa il colpo
- Brené Brown – I doni dell’imperfezione, La forza della fragilità
- Puhl, R., Heuer, C. – The Stigma of Obesity: A Review and Update

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